Quel che il jazz del giovane contrabbassista propone appare secondo un linguaggio denso di varietà e d’illuminazioni che variano dal Bop al Funk e al Latin, lasciando agli ottimi soli dei comprimari il rimando ai maestri, peraltro già ben evocati nelle scritture di otto brani originali nei quali, senza dubbio, è facile cogliere una cultura musicale adeguatamente equilibrata fra il repertorio classico e le Blue Notes degli anni 60-80.
Nell’album i riferimenti a quegli stili differenti si concretizzano in sicuri passi mediterranei che divagano in voli brasiliani e magrebini, concepiti per una tematica del viaggio nella quale riconoscere sia il proprio ego musicale sia una volontà di ricerca formativa di oggetti per nulla inamovibili e decisamente proiettati in immaginazioni galvanizzanti, eteree o di segno swing moderno.
Coinvolgente l’Incipit “Mimì” fra lirismo e Funk, suggestivo lo “Hieronymus” che dà il titolo all’album, ove il Quintetto si lascia coerentemente prendere, sebbene in forma meno criptica, dall’estro visionario del pittore olandese Bosch, anti-umanista in nome della negazione dell’Intelletto per l’accentuazione degli aspetti trascendentali e irrazionali, come nel clima esotico della bossa “Ebony Dance” o nei mutamenti di “Neukolln”, quartiere berlinese noto per la frenetica ambiguità dei suoi “movimenti”.
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